Il Word Wide Web, la più grande invenzione di fine Novecento, è basato su una tecnologia aperta e slegata da logiche commerciali. Il WWW non fu brevettato. Fu fondata su standard di interoperabilità che garantissero ai siti web di funzionare partendo tutti dallo stesso livello. Ciò consentì a chiunque la possibilità di condividere dei propri contenuti al mondo, a costi prossimi allo zero.
Il WWW è stato la più grande invenzione “open-source”. Il movimento open source mira alla diffusione di licenze software con cui i detentori dei diritti favoriscono la modifica, lo studio, l’utilizzo e la redistribuzione del proprio prodotto. L’approccio aperto si è rivelato vincente, con numerosi i casi di successo di software liberi. La filosofia dell’apertura iniziò ad applicarsi in altri contesti. Le Creative Commons e le licenze copyleft hanno attuato un cambiamento nella percezione del diritto d’autore, rivedendo l’ineluttabilità dell’uso del copyright per i contenuti. L’open hardware, che riguarda i dispositivi elettronici e meccanici, ha un notevole impatto nell’Internet of Things. Gli open data permettono una democratizzazione nello sviluppo di strumenti per l’azione sul territorio e sulle comunità.
Con i nostri progetti abbiamo rilasciato tutti i nostri strumenti software con licenze aperte. E abbiamo “liberato” l’intero processo didattico, rendendo disponibile la documentazione sulle nostre attività fino a creare un vero e proprio corso aperto e gratuito sui nostri processi didattici. Tutti questi elementi rappresentano il capitale in una visione tradizionale di organizzazione/azienda. Noi spostiamo il capitale di organizzazione verso le nostre competenze, esperienze e crescita personale. Crediamo nella democratizzazione della tecnologia, e vogliamo abbattere le barriere in ingresso anche verso chi vuole partecipare e lavorare con quanto abbiamo ideato e sviluppato. Vogliamo che l’open-source possa essere una filosofia economica per il XXI secolo. La sfida potrà essere vinta tramite la pratica personale. Rafforzando l’esistente e ampliando gli ambiti di applicazione dell’approccio aperto e collaborativo.
Gli elementi fondativi
Condivisione della conoscenza come paradigma economico e culturale
Per Evgenij Morozov una delle criticità della websfera contemporanea è la presenza di giganti della Rete in posizioni di quasi-monopolisti. Come feudatari, controllano le strade digitali e impongono un pedaggio in termini di dati e privacy. La situazione può essere ribaltata acquistando il controllo delle infrastrutture. Se la statalizzazione dell’infrastruttura tecnologica è una strada pericolosa e probabilmente inefficiente, l’approccio open-source permette di democratizzare l’infrastruttura senza imbrigliarla con burocrazia e clientelismo. Non è facile pensare all’open-source come paradigma culturale di massa, in una società dove l’equilibrio tra proprietà privata della conoscenza e libera fruizione del sapere è sbilanciata verso la prima. Ma alcuni cambiamenti che fanno da contrappeso sono in atto, anche dovute al fallimento della conoscenza privata di fronte ad alcune sfide contemporanee.
L’open-source deve valorizzare la sua natura di essere intrinsecamente orientato allo studio di strumenti e contenuti, che permette di accrescere la consapevolezza del processo e del contesto in cui si lavora. Questo può aiutare la riflessione sulle sfide contemporanee riguardanti i diritti digitali legati a infrastruttura e contenuti, ad esempio sui temi inerenti alla privacy, al clicktivismo e all’impatto sociale dei big data (basti pensare al rapporto tra big data, algoritmi predittiva e costo delle assicurazioni). L’open-source è una pratica parallela a quello del recupero e del riciclo di materie prime e derivate, rientrando all’interno di un ottima di economia circolare. Open-source è ecologia di forza lavoro. Contribuisce a democratizzare innovazione, creatività e (auto)imprenditorialità.
Vanno affrontate le criticità. La sostenibilità economica è complessa per piccoli progetti open-source. Le pratiche di open-washing portano grandi aziende dell’ITC a sviluppare alcune componenti aperte per semplici finalità di comunicazione e snaturano il movimento. L’open-ottimismo deve essere contrastato da una visione critica, definendo i confini dove l’approccio aperto è un valore aggiunto per la società e tenendo in considerazione che l’open non è inequivocabilmente buono per ogni contesto.
Se la tecnologia fosse stata proprietaria e sotto il mio totale controllo, probabilmente non sarebbe decollata. La decisione di rendere il web un sistema aperto fu necessaria per renderlo universale. Non puoi proporre qualcosa come uno spazio universale e al tempo stesso mantenere il controllo su di esso.
Tim Berners-Lee
Collaborazione aperta come metodo
Le ricadute positive dell’open-source vanno oltre la libera conoscenza e l’abbattimento delle barriere in ingresso. Non si può appiattire l’apertura ai soli strumenti e contenuti. Senza tener conto delle persone, cioè dell’impatto dell’apertura verso i rapporti tra persone e lo sviluppo di comunità di cambiamento.
Gli strumenti open-source possono essere modificati e ri-condivisi (fork), generando una comunità che arricchisce e valorizza il lavoro altrui. Anche il testing è condiviso, suddividendo l’onere di verificare e correggere i problemi (bug) del software originale. Inoltre si genera una documentazione quantitativamente e qualitativamente migliore rispetto a quella dei software proprietari; questo sviluppa un vero e proprio approccio pedagogico alla documentazione di uno strumento, che la rende inclusiva verso qualsiasi sviluppatore esterno.
Tutto ciò porta ad un’innovazione autenticamente aperta, cioè caratterizzata da partecipazione proattiva e auto-regolamentata che abilitano intelligenze collettive e connettive delle comunità di sviluppatori.
Proponiamo di intendere la collaborazione aperta come metodo da trasferire anche in altri contesti oltre lo sviluppo software. Un metodo ideale per pratiche di innovazione sociale legate al territorio, che possano innescare le comunità locali, predisporre alla creazione di partenariati, stimolare la collaborazione tra settori diversi e l’ingresso di alleati all’interno di progetti in essere. Un metodo che va ad inserirsi all’interno di un sistema economico-sociale emergente come quello del Commons collaborativo.
Il capitalismo sta producendo una filiazione: l’economia della condivisione nel Commons collaborativo. E’ il primo nuovo sistema economico ad affacciarsi sulla scena mondiale dall’avvento del capitalismo e del socialismo, agli inizi del XIX secolo, e questo ne fa un evento storico.
Jeremy Rifkin
Didattica hacker e collaborativa
La cultura della conoscenza libera e aperta ha trovato un contesto positivo nella didattica, sia per la predisposizione alla condivisione della conoscenza, che per la natura democratica del movimento aperto, che permette a istituti scolastici e organizzazioni formative di accedere a risorse e strumenti economicamente sostenibili.
Ma il vero aspetto in cui la cultura della conoscenza può avere un impatto positivo largo e distruptive nella didattica non è legato agli strumenti e contenuti open, ma verso una metodologia didattica. Il modello di apprendimento hacker, una versione proattiva e critica (fino ad essere speculativa) del modello aperto. La cultura hacker si fonda sul piacere nell’esplorazione dei sistemi programmabili, nella sperimentazione ed estensione d’uso dei sistemi, nel superare creativamente le limitazioni imposte dal sistema, nell’insegnare ad altri come mantenerli liberi ed efficienti.
Pekka Himanen, in “L’etica Hacker e lo spirito dell’età dell’informazione”, applica l’approccio hacker alla didattica. Oltre alla filosofia hacker, la metodologia è caratterizzata da attività iterative atte alla comprensione dei problemi e al miglioramento continuo dei processi. Alcuni elementi di questa didattica ricalca la metodologia del tinkering, anch’essa impostata su cicli di miglioramento (think make improve). Ricalca gli aspetti etici tipici della filosofia hacker, come il miglioramento del contesto e l’approccio speculativo e non deterministico.
Invece l’esigenza di un approccio open-source alla didattica nasce dalla consapevolezza che nell’attuale modello scolastico la condivisione di informazioni e di idee tra gli studenti è visto come un imbroglio: copiare. Nel modello standard, l’apprendimento come esperienza individuale. Esistono anche le competenze sociali e la capacità collaborativa, ma sono sempre competenze da riferire ai singoli alunni. Soprattutto, deriva dal considerare l’acquisizione della conoscenza come una forma di proprietà privata ed esclusiva. L’open-source permette di rivedere il concetto di conoscenza, su paradigmi più collaborativi e concentrandosi sulla capacità di elaborare soluzioni all’interno di comunità.
Nell’era che ci avviamo ad affrontare, quella delle grandi fonti di dati e dell’intelligenza artificiale, è strategica sviluppare la capacità di rielaborare creativamente informazioni date, di sviluppare processi come iterazioni, spesso non lineari e quasi sempre soggette alla cooperazione, in prodotti aperti e modificabili rapidamente nel tempo.
Nella cultura dell’hacking, ogni creazione semplice ed elegante riceve un’alta valutazione come si trattasse di scienza pura
Randolph Ryan
Open-source come patrimonio del futuro, cifra artistica di fine XX inizio XII secolo
Molti artisti contemporanei utilizzano strumenti open-source per lo sviluppo delle loro opere digitali, sia per la possibilità di personalizzare i proprio strumenti che per seguire una scelta etica. Molte opere di videoarte generativa, videomapping, installazioni digitali, software di AI “artistiche” sono sviluppati con strumenti o codici liberi e aperti. Ma oltre all’uso degli strumenti, si può iniziare ad immaginare ad un rapporto sempre più profondo tra open-source e arte, fino ad un livello ontologico.
L’approccio aperto alla collaborazione di indefiniti soggetti porta naturalmente alla ricerca dell’inaspettato. Possono portare il pubblico dell’arte ad esprimersi liberamente, e interagire con l’opera fino a ricostruire l’opera stessa in modo collaborativa. L’opera open-source si apre al mondo per essere liberamente reinterpretata, remixata e ricontestualizzata.
L’arte open-source rivede alle fondamenta i concetti di paternità e autorialità che a lungo hanno costruito il mito del “genio creativo e solitario” che ha retto per secoli di storia dell’arte. L’open source richiede la volontà di partecipare al flusso e riflusso del discorso culturale, in un rapporto dare-avere. Questa filosofia può sviluppare una capacità collettiva superiore che rende più facile sviluppare progetti internazionali e collettivi.
L’etichetta del museo, con un solo nome e un’unica data, è un concetto obsoleto in un’epoca in cui il lavoro è raramente fatto da solo e spesso cambia nel tempo. Il concetto di paternità diventa così dinamico e fluido.
Kyle Chayka
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