L’epoca di trasformazioni digitali che viviamo sta modificando rapidamente processi e prodotti con cui persone, aziende e altre organizzazioni abitano la loro quotidianità. Questa trasformazione richiede nuove competenze, che solo in parte sono sviluppate dalle offerte formative di massa.
In Italia, il numero di posti di lavoro vacanti legati al settore digitale ammonta a circa 350.000 unità. La domanda di competenze tecnologiche aumenterà del 55% in 12 anni. Parlando in termini di skill-gap, il 33% della professionalità tecnica con le competenze richieste dalle aziende risulta “non rintracciabile”.
Sono dati indicativi della necessità di competenze digitali nel mondo del lavoro. Ma non si può pensare di impostare un sistema scolastico semplicemente per trasmettere agli studenti competenze da coders, designers e altre figure espressione della cultura tecnico-digitale. Perché la maggior parte dei lavori del futuro nemmeno sono immaginabili. Perché bisogna pensare al digitale come parte integrante del mondo contemporaneo, della socialità delle persone. Il digitale ha una profondissima influenza sulla cultura e sulla democrazia di ogni nazione. Ridurre gli insegnamenti del digitale come un mezzo per il sostentamento economico dei futuri cittadini significa ignorare l’impatto che il digitale sta avendo nella società attuale.
Con i nostri progetti il digitale è centrale, andando da contesti quali la comunicazione sul web, la programmazione, la fabbricazione digitale, l’Internet delle cose. Abbraccia applicazioni molto eterogenee del digitale, in un contesto di tecnologia civica. Proviamo ad indagare, sia tramite la riflessione che con la pratica in contesti reali, il rapporto tra digitale e società. Per evitare un approccio digitale che sia, parafrasando Marcuse, ad una dimensione.
Gli elementi fondativi
Governare l’infosfera
La rivoluzione del digitale non è più ai suoi albori. Non basta parlare solo di competenze digitali o di corretto uso del web. Le competenze digitali vanno integrate e rapportate al concetto di infosfera. L’infosfera è l’ambiente delle informazioni, online e offline, e degli agenti (persone, organizzazioni, robot e AI) che interagiscono con essa. Un concetto con cui si constata che nel mondo odierno è impossibile suddividere nettamente online da offline. L’infosfera rompe la riduttiva dicotomia Internet-mondo reale. Ragionando in termini di sviluppo di competenze digitali, sia di cittadinanza digitale che per il mondo del lavoro, non bisogna guardare prioritariamente alle caratteristiche e all’evolversi del mercato digitale, ma a quelle dell’infosfera. L’educazione digitale dovrebbe preparare cittadini in grado di comprendere le dinamiche dell’infosfera, e lavoratori in grado di contribuire al governo dell’infosfera. Questo si traduce in un educazione digitale interdisciplinare, in cui le competenze puramente STEM vanno integrate a discipline umanistiche che analizzano i sistemi sociali e la loro complessità e qualità. In ambito scolastico, l’infosfera dovrebbe essere affrontata sia dal punto di vista infrastrutturale che nei rapporti tra i sistemi e comunità. Tra le sfide più impellenti, la definizione di linee di condotta (policy) dei dati, in particolare di quelli inerenti le persone e il territorio, controbilanciare il capitalismo di sorveglianza, e rivedere la posizione dell’AI nella comunità di agenti dell’infosfera. Un ruolo importante va assegnato anche all’innovazione sociale digitale, che nel suo rapporto con le comunità è naturalmente predisposta all’integrazione significativa tra online e offline.
Siamo arrivati sul pianeta del digitale. È un pianeta nuovo. Chissà quali meraviglie ci saranno e quali mostri. Ma l’atterraggio è avvenuto, questa novità è ormai parte della nostra storia, ora è la governance che deve dire cosa vogliamo fare in questo “pianeta”.
Luciano Floridi
Pensiero creativo digitale
La società contemporanea si prospetta sempre più dominata dall’automazione, sia fisica (robot) che virtuale (AI). L’automazione avrà un forte e crescente impatto sul mondo del lavoro e sulla stessa concezione del lavoro umano. La creatività digitale viene vista come una risorsa strategica con cui la società può rispondere al meglio alle sfide del digitale.
Il concetto di creatività digitale nasce ben prima che automazione e intelligenza artificiale diventassero fenomeni di largo impatto: nel 1995 la rivista “Digital Creativity” inizia ad indagare sul rapporto tra questi due concetti. Quando parliamo di creatività non parliamo di innovazione bensì di divergenza, di pensiero laterale e speculazione. Del valore aggiunto dell’umano rispetto alla computazione. La computazione porta a efficienza, passando su binari già conosciuti. La creatività richiede di stravolgere e ribaltare i problemi e i dati, mescolare le ipotesi e fare associazioni anche casuali e non lineari.
Si parla di dimensione digitale della creatività non solo come riferimento a strumenti digitali da usare con capacità espressive già consolidate. Il digitale porta ad un nuovo sistema creativo e culturale, con nuovi linguaggi, nuove produzioni, nuovi codici, nuovi canali, nuovi contesti. Come sottolinea Mitchel Resnick, più che di creatività che comunemente viene associata solo all’arte e all’espressione, è più comodo parlare di pensiero creativo. La creatività digitale non riguarda solo la capacità espressiva per mezzo del digitale. Può generare un “reincanto tecnologico”, da interpretare in opposizione alla formulazione weberiana di disincanto. Con il reincanto ci può essere un recupero del lato emozionale ed estetico degli strumenti post-industriali, dimensione che le tecnologie industriali hanno sopito e accantonato.
In questa prospettiva i nuovi media appaiono a noi uomini d’oggi come il mezzo per recuperare proprio quella sensibilità/sensitività estromessa dal paradigma mediologico “normale” (in senso kuhniano) dominato finora dalla scrittura e dai media industriali.
Giulio Lughi
Cultura maker
Tra i fenomeni più rilevanti del mondo digitale contemporaneo, c’è lo sviluppo e la democratizzazione della fabbricazione digitale. La fabbricazione digitale è quel processo con cui si creano oggetti solidi e tridimensionali partendo da disegni digitali. Utilizza sia software che hardware specifici, tra cui la famosa “stampante 3D”. L’utilizzatore di queste tecnologie è il “maker”. Uno degli aspetti più interessanti della fabbricazione digitale è l’ibridazione tra il nuovo e il tradizionale, tant’è che si parla di “artigianato digitale”, congiungendo il saper fare artigianale e le tecnologie digitali. Questa unione ha anche favorito un riavvicinamento delle nuove generazioni alla cultura del fare, sia in ambito lavorativo che in quello scolastico ed educativo, con la nascita di vere e proprie didattiche maker.
La diffusione di massa di queste tecnologie ha portato ad un rapido sviluppo di una solida comunità di makers, non solo online. Nel 2005 è stato introdotta l’idea di “FabLab”, un modello di laboratorio di fabbricazione digitale. Questo format spinge ad un possesso condiviso della strumentazione, ad un accesso ampio e partecipativo, e ad un apprendimento tra pari. A differenza di altre comunità legate a tecnologie digitali, la rete del FabLab è estremamente legata al territorio ed integra al meglio l’online con l’offline. I Fablab hanno contribuito ad una crescita dell’ecosistema dell’innovazione sociale digitale, con una particolare attenzione ai progetti di sviluppo territoriale.
La cultura maker si è propagata su vari livelli, sino ad arrivare a ripensare alla produzione locale e urbana. Le Fab City sono una rete globale di città che punta a massimizzare la propria produzione locale grazie a fabbricazione digitale, condivisione della conoscenza ed economia circolare. Coltivare la cultura maker sarà sempre più importante. Per l’approccio pedagogico che unisce il saper fare, anche fisico, alle nuove tecnologie. Per dare continuità e profondità allo sviluppo del rapporto tecnologia-territorio tipico dei Fab Lab.
La vera opportunità è sfruttare la potenza inventiva globale per progettare e produrre localmente soluzioni ai problemi del territorio.
Neil Gershenfeld
Comunicazione digitale = empatia digitale
Forse la sfida più importante nell’ambito di quelle che intendiamo come competenze digitali di cittadinanza è la definizione di un altro paradigma per la comunicazione digitale. La disintermediazione causata dalle nuove tecnologie ha avuto un impatto ben visibile nel versante economico, culturale e politico. Ma importante è stata anche la disintermediazione dei rapporti.
Un mix fatto del culto della velocità e di fiducia totale nella cultura tecnica ha portato a sviluppare alcuni grandi disvalori nella comunicazione digitale. Disvalori che abbracciano le dimensioni più svariate della comunicazione: personale, sociale e nella sfera della pubblica opinione. Una comunicazione personale che, basata sui paradigmi delle chat, è diventata di transazione e conclusiva. Improntata più sull’efficienza e meno sulla comprensione dell’altro. Una comunicazione sociale troppo spesso narcisistica, aggressiva, chiusa in bolle di interessi polarizzanti e fenomeni di infobesità. Una comunicazione dei media che vedono il cittadino principalmente come cliente, con informazioni qualitativamente al ribasso giustificate dalle modalità “freemium”, e pratiche sleali come clickbaiting.
Individuiamo nella natura di questi disvalori una mancanza di empatia come paradigma per la comunicazione digitale.
L’empatia è la capacità di avere consapevolezza dei sentimenti del nostro interlocutore, di mettersi nei panni degli altri. Anche quando non siamo d’accordo e non possiamo essere compassionevoli. L’empatia e in generale l’intelligenza emotiva è entrata di forza nel mondo del lavoro, come abilità sociale strategica in un mondo interconnesso come quello contemporaneo. Sono alla base del marketing, della pubblicità, dell’efficacia del design di oggetti e interfacce virtuali. Ma i paradigmi con cui sono sviluppati gli strumenti e i contenuti della comunicazione digitale non mai messo lo sviluppo dell’empatia come obiettivo. Ma questa mancanza di priorità è tossica verso noi stessi, con l’aumento di patologie legate ad ansia e solitudine. E risulta tossica per la società e per la democrazia.
Bisogna pensare che è prioritaria la ri-costruzione del rapporto tra comunicazione ed empatia, su tutte le dimensioni della comunicazione digitali. Questo non può prescindere da un’educazione empatica a scuola. Vanno esplorati i limiti dell’empatia sul digitale e sul virtuale, ripensando quindi al rapporto tra online e offline. Ripensando al valore del contatto umano all’interno dell’infosfera, rendendolo funzionale al digitale e non più accessorio e distaccato rispetto ad esso. Bisogna sviluppare ulteriormente una comunicazione non ostile e gentile.
La chiave di successo di un nuovo patto di fiducia con la comunicazione digitale si basa una nuova reintermediazione basata sull’empatia. Una priorità per chi lavora nei contenuti, nell’infrastruttura tecnologica e nel tipo di interazione tra utenti, nelle regole (policy) degli ambienti digitali.
L’empatia è la scintilla che fa scaturire l’interesse umano per gli altri, il collante che rende possibile la vita sociale
Martin Hoffman
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