La biostampa 3D
Come per altri neologismi, non c’è una definizione precisa di biostampa 3D (3D bioprinting). Ad esempio per l’EPRS (Il Servizio di ricerca del Parlamento Europeo) si tratta di tecnologie di stampa in 3D per applicazioni correlate al corpo, indipendentemente dal fatto che i prodotti risultanti contengano o meno materiale biologico e che servano o meno a un fine medico.
In questa lezione ci focalizzeremo invece sulla biostampa 3D intesa come stampa 3D per la produzione di materiale biologico. Un processo che permette la creazione di strati di cellule viventi che preservano la loro specifica funzionalità e che formano strutture complesse come tessuti organici o persino interi organi. Altro materiale organico stampabile sono molecole complesse, bioreattori e sostanze farmacologiche utili per svariate terapie.
Biostampa 3D per l’ingegneria tissutale
L’ingegneria tissutale è quel settore terapeutico, altamente interdisciplinare, finalizzato a ricreare, ingegnerizzare, riparare e auto-riparare tessuti e organi, per ricreare, ristabilire o migliorare le funzioni biologiche del tessuto od organo originario.
Riuscire a generare tessuti viventi, e in particolare tessuti umani, sta aprendo nuove frontiere nel processo di screening farmacologico (ovvero sperimentazione in vitro di sostanze farmacologiche), studi tossicologici e sviluppo di nuove terapie. Avere a disposizione tessuti umani sta portando a una significativa riduzione della sperimentazione farmacologica sugli animali e sugli esseri umani, e con la sua diffusione abbatterà i costi e tempi di sviluppo di medicinali e terapie.
L’orizzonte ultimo dell’ingegneria tissutale e della biostampa 3D è quello di essere uno strumento efficace per la medicina rigenerativa. La medicina rigenerativa è un settore terapeutico interdisciplinare focalizzato sulla riparazione, rigenerazione e sostituzione di cellule, tessuti od organi per ripristinare funzionalità fisiologiche compromesse da cause quali difetti congeniti, malattie, traumi o invecchiamento.
Di seguito un documento approfondimento a cura del Prof. Paolo Milani – Dipartimento di Fisica Università Statale di Milano.
Scarica l’approfondimento sulla medicina rigenerativa e ingegneria tissutale
Da notare che la biostampa 3D è uno degli strumenti dell’ingegneria tissutale ma non l’unico. L’ingegneria tissutale fa uso anche di nanomateriali o cellule staminali, con sperimentazioni che coinvolgono tutti e tre i soggetti.
La medicina rigenerativa consente agli scienziati di far crescere tessuti e organi in laboratorio e trapiantarli con sicurezza quando il corpo non può curarsi da solo, risolvendo il problema della carenza di organi disponibili alla donazione in rapporto al numero di pazienti richiedenti. Inoltre l’organo può essere realizzato con cellule del paziente prelevate in biopsia, con vantaggi in termini di rigetto. Come approfondirai nella lezione dedicata, questa applicazione attualmente è solo in fase di sperimentazione.
Come funziona la biostampante 3D
Semplificando, la biostampa 3D lavora su due materiali:
- Il bioinchiostro, chiamato bio-ink. Si tratta di un composto cellulare, con uno o più tipi di cellule in base all’applicazione. Il bio-ink può essere composto anche da riempitivi inorganici bioattivi e da biopolimeri. Paragonandolo alle classiche stampanti FDM, si tratta del materiale che verrà “estruso”. La biostampante ha diverse soluzioni tecniche per l’estrusore per impedire che le cellule vengano danneggiate durante la fase di estrusione.
- L’impalcatura, chiamata scaffold. Rappresenta il supporto sul quale si strutturerà il tessuto da riprodurre. Questa struttura, oltre alla funzione di sostegno, deve permettere l’adesione e il movimento delle cellule, fungere da veicolo per i fattori biochimici necessari alle cellule (ad esempio i fattori di crescita) e per le sostanze necessarie allo sviluppo cellulare. In sostanza, lo scaffold riproduce la matrice extracellulare (abbreviata MEC, o ECM in inglese) che circonda e sostiene le cellule all’interno dei sistemi viventi. Come la MEC, l’impalcatura contiene segnali chimici e biofisici specifici per istruire il bioink.
La composizione dell’impalcatura e del bioinchiostro variano in larga misura in base all’applicazione. L’impalcatura può essere sia prodotta (estrusa) durante la fase di stampa, che posizionata precedentemente, ed è composta da una svariata tipologia di materiali progettati per interagire con materia vivente. In esperimenti di bioelettronica, l’impalcatura è composta da chip che permettono l’interazione digitale tra i tessuti che vengono successivamente stampati sopra l’impalcatura.
Nell’esempio video, lo scaffold non è stampato in 3D, ma composto da una base di hydrogel.
Una seconda tecnologia di biostampa 3D, chiamata DNP, non si basa sul deposito di materiali, ma sulla proiezione di luce infrarossi (per la precisione NIR, quindi a 980 nm). Il bioink contiene nanoiniziatori UCNP @ LAP in grado di convertire la luce NIR in luce a 365 nm e quindi avviare il pattern ottico – polimerizzazione controllata di monomeri presenti all’interno del bioink.
Se volessimo fare un paragone, la tecnica della biostampa per deposito è simile alle stampe plastiche FDM, mentre la DNP è paragonabile alle stampanti con resine fotosensibili.
In sintesi, la biostampante 3D è quello strumento digitale che permette la fabbricazione automatizzata di un tessuto multicellulare tramite la deposizione di cellule in uno spazio. La capacità di controllare spazialmente la deposizione negli assi x, y e z consente la creazione di modelli o compartimenti specifici del tessuto, con un’architettura simile a quella in vivo che imita gli aspetti chiave della biologia nativa.
I principali ostacoli tecnologici della biostampa 3D sono rappresentati da:
- Metodi di vascolarizzazione non efficaci. La vascolarizzazione è attualmente il problema principale per la costruzione di organi o tessuti estesi, in particolare legato alle risoluzioni di stampa non sufficienti. Molti tessuti devono essere dotati di reti vascolari che contengono canali capillari con diametri di pochi µm.
- Tempi di stampa lenti. Saranno necessari metodi di stampa più rapidi per mantenere la vitalità delle colture cellulari durante tutto il processo di stampa, poiché metodi migliori porteranno alla creazione di costrutti più grandi e complessi. Con le attuali tecnologie di stampa, si stima che la stampa di un oggetto delle dimensioni di un fegato umano adulto richiederà più di tre giorni.
- Inadeguatezza degli attuali software di modellazione CAD. Questi non pensati per il contesto biomedicale e che non presentano funzionalità avanzate e parametriche per questo contesto, ad esempio per generare automaticamente impianti e protesi a partire dai dati DICOM.
Mercato del lavoro legato alle biostampanti 3D
Pochi ospedali e centri di ricerca in Italia si sono dotati di questa strumentazione. Conseguentemente all’aumento previsto dell’utilizzo di questa strumentazione, sarà presto necessario l’inserimento in organico di centinaia di bioingegneri e/o biologi staminali che possano affiancare il personale già presente.
A livello di ricerca e didattica, il dato interessante è che già dal 2019 sono state rilasciate nel mercato alcune stampanti 3D adibite alla biostampa (con certificati ETL/UL, CSA, FRESH, OSHWA) a prezzi inferiori a 10.000€. Si trattano di costi accessibili anche a piccoli centri di ricerca, piccole aziende e persino scuole, e che potrebbero comportare un incremento di sperimentazione diffusa da parte di ricercatori, studenti e biomakers.
Ma a che punto siamo nella ricerca e applicazione? Nelle prossime tre lezioni esploreremo ricerche scientifiche e casi clinici di quanto introdotto sopra.
Se ti interessa l’argomento, puoi consultare anche gli articoli in Open Access della rivista scientifica “Biofabrication”.