Biostampa 3D per la produzione di tessuti viventi
Un tessuto è un insieme di cellule, strutturalmente simili, associate per funzione: costituisce un livello superiore di organizzazione cellulare, deputato a svolgere un ruolo determinante all’interno di un organismo, e presente in forma evoluta solo negli animali e nelle piante. Come detto nella precedente lezione, la produzione dei tessuti è uno dei contesti applicativi della biostampa 3D. I tessuti possono essere usati come modelli per interventi chirurgici (vedi la lezione sulla pianificazione pre-chirurgica) o studi clinici, per lo sviluppo di terapie, per replicare l’attecchimento di nuovi organi o l’assunzione di nuovi farmaci, e molto altro.
Tessuto epidermico stampato in 3D
Un campo applicativo già in avanzata fase di sperimentazione è quello che riguarda le biostampanti 3D per la produzione di epidermide. Le prime sperimentazioni partono già dal 2009, in una ricerca in cui viene utilizzata una stampante laser simile alle inkjet per la stampa su carta. Il bio-ink utilizzato è basato su cellule staminali.
Nel corso degli anni ’10 la ricerca è andata avanti, in particolare spinta dall’industria cosmetica che vedeva (e vede) nella biostampa 3D un modo per avere del tessuto epidermico per il test dei propri prodotti cosmetici, senza utilizzare cavie animali e umane. Ad esempio l’azienda L’Oreal ha stretto una partnership con la start-up Organovo per lo sviluppo di biostampanti utilizzabili per questo scopo.
Dal 2017 è commercializzata la prima pelle biostampata, dell’azienda Poietis.
Il passo successivo è la creazione di biostampanti che riescano a creare strati di pelle da applicare sulle parti ustionate di un paziente. Le cellule sane del paziente possono venir fatte moltiplicare all’interno di una cartuccia con elementi nutritivi e poi stampata su un foglio biodegradabile poggiato direttamente sulla parte ferita. Come per gli organi, alla scomparsa della struttura di sostegno corrisponde l’aderenza delle nuove cellule, in questo caso della pelle. Per il processo in questione possono essere utilizzate sia le stampanti tradizionali che quelle 3D, le quali però sono in grado di depositare con maggiore precisione le cellule riducendo gli sprechi.
Attualmente questa applicazione non è completamente disponibile per gli ospedali, ma è in avanzatissima fase di sperimentazione, e si prevede la realizzazione di stampanti 3D usabili in ospedale prima del 2030.
Nella figura di sopra è illustrato il processo per la creazione di pelle con apposita biostampante 3D, tratto da una ricerca nella rivista Polymers.
- A) Vengono posizionati per markers intorno alla ferita, come punti di riferimento per lo scanner
- B) Area della ferita scansionata con uno scanner portatile (ZScanner ™ Z700)
- C) e D) Le informazioni geometriche ottenute tramite la scansione generano una nuvola di punti che viene successivamente trasformata in un file STL
- E) Il file geometrico (stl) viene trasformato in un sistema di coordinate (gcode) tramite un software di slicing specifico per la stampante
- F) La biostampante 3D viene posizionata sopra la lesione e l’ugello applica la biostampa 3D sulla ferita
La ricerca sulla biopelle, che parte dall’inizio del XXI secolo, è stata la base per lo sviluppo di biostampanti 3D per tessuti cartilaginei e ossei, i primi che sono riusciti a entrare concretamente in sala operatoria.
Cartilagini: orecchio e naso stampato in 3D
La prima applicazione di biostampa 3D finalizzata alla creazione di tessuto impiantato su umano è stato quello della produzione di un orecchio. Il motivo è molto semplice: la cartilagine non è vascolarizzata e non è innervata.
Il primo intervento con successo ha avuto luogo in Sudafrica nel 2019, nello Steve Biko Memorial Hospital.
Nello stesso anno, pochi mesi dopo, un intervento simile è stato effettuato nel 2019 all’Azienda ospedaliero-universitaria di Firenze. La stampa 3D ha consentito ai chirurghi del Meyer di ricostruire da zero l’orecchio di un bambino affetto da microtia, una malformazione congenita rara (colpisce 5 bambini su 10.000 nati), nel suo caso bilaterale, che porta a un’assenza di sviluppo dell’orecchio esterno. Il chirurgo plastico del Meyer che lo ha operato ha potuto ricostruire l’orecchio a partire da una piccola porzione di cartilagini costali prelevate dal bambino dando loro la forma dell’orecchio grazie a modelli stampati in 3D.
Tessuti ossei 3d-printed
Anche la biostampa 3D di tessuti ossei è uno degli ambiti più sviluppati, e nella lezione su protesi e innesti puoi trovare diverse soluzioni già applicate in sala operatoria. Lo sviluppo di impianti stampati in 3D con altissimo grado di osteointegrazione rende queste soluzioni, basate sulla stampa di impianti che poi saranno efficacemente sostituiti dal tessuto osseo del paziente, la strada maestra della stampa 3D. Tuttavia ci sono anche ricerche per lo sviluppo di tessuto osseo ex novo.
Gli scienziati della New York University stanno anche sviluppando delle impalcature (scaffold) ossee stampate in 3D. Le impalcature sono materiali progettati per stimolare la formazione di nuovi tessuti organici per scopi medici. Forniscono la struttura fisica per lo sviluppo del tessuto, guidando infine la crescita cellulare verso la forma e la forma desiderate.
Vasi sanguigni con stampa 3D
La biofabbricazione digitale sta spingendo molto nella ricerca della stampa 3D di vasi sanguigni. I motivi sono la vastità delle applicazioni:
- Come per gli altri tessuti, è essenziale per i test farmacologici.
- Solo degli Stati Uniti, ogni anno 450.000 pazienti sono soggetti ad operazioni chirurgiche di sostituzione di parte di un vaso.
- I vasi sanguigni pervadono tutti gli organi, quindi la ricerca della biostampa dei vasi sanguigni è propedeutica a quella degli organi.
Nelle operazioni chirurgiche, la maggior parte delle sostituzioni avvengono nei casi di coaguli di sangue, malattie coronariche, danni da ictus. Attualmente non sono documentati casi di vasi sanguigni impiantati in pazienti. Bisogna tener caso che in molti casi di rivascolarizzazione (a partire dalle operazioni di bypass) la tecnica consiste nel prelevare un segmento di arteria o vena sana e innestarlo al posto del vaso danneggiato. Inoltre sono presenti sono prodotti in uso clinico a base di polimeri, ma che non hanno cellule viventi e funzioni vascolari.
Sono state svolte numerose sperimentazioni sui tessuti vascolari, dai capillari (dotate di un monostrato di cellule endoteliali EC) fino ai vasi più grandi che hanno almeno tre strati: EC interno; lo strato intermedio composto da cellule muscolari lisce (SMC), tessuto elastico e fibre di collagene; lo strato esterno composto da tessuto elastico e fibre di collagene.
Tra le varie sperimentazioni, va citata una in particolare del 2020. I ricercatori in Corea e Hong Kong hanno utilizzato una tecnica di stampa cellulare 3D modificata per fabbricare un vaso sanguigno completo di 3 strati. Il vaso è stato impiantato con successo in un ratto vivente. Questa ricerca fornisce un percorso promettente per la costruzione di innesti vascolari durevoli di piccolo diametro.
In questa ricerca, per la prima volta è stata biostampato un vaso con la presenza sia dei tessuti endoteliali che dei muscolari. Per produrre innesti con funzioni vascolari regolari infatti, deve essere ottenuta la ricostruzione di entrambe le componenti. Un endotelio confluente e quiescente che offre un’interfaccia non trombogenica per inibire la trombosi, e tessuti muscolari lisci contrattili in grado di sopportare lo stress emodinamico e adattarsi ai cambiamenti della pressione sanguigna locale tramite costrizione e rilassamento.
Per approfondimenti, consulta questo articolo del 2020 sullo stato dell’arte della stampa 3D applicata alla produzione di vasi sanguini.
La penna 3d per i tessuti muscolari
Un danno muscolare, ad esempio una lezione di un muscolo scheletrico causato da traumi o ablazione di un tumore, richiede una procedura ricostruttiva complessa. La cura standard consiste nell’innesto di un lembo peduncolare muscolare autologo proveniente da regioni adiacenti. Questa tecnica però dipende molto dalla disponibilità di tessuto muscolare dell’ospite e la morbilità del sito donatore, rendendola una strategia di difficile attuazione. In alternativa sono possibili terapie cellulari sperimentali, consistenti nella rigenerazione tramite coltura. Ma anche questa tecnica presenta limiti, ad esempio il basso attecchimento cellulare o la sopravvivenza delle cellule inettate.
Anche in questo ambito, la biostampa 3D può dare molto. Dal 2015 sono state sviluppate diverse sperimentazioni di tessuti muscolari 3d printed, in particolare dei muscoli scheletrici. In questa ricerca del 2018, pubblicata su Nature, è stato impiantato un muscolo biostampato, precedentemente coltivato in vivo, su un roditore, recuperando circa l’80% delle funzionalità muscolari.
I recenti muscoli biostampati risultano però, rispetto agli originali, più lenti e ingombranti e meno adattivi, quindi impossibili a fornire una vera soluzione. Una strada più promettente e quello della stampa direttamente sulla lesione muscolare, come accade per i casi di ustione e impianto epidermico.
Un nuovo studio spera di migliorare l’applicazione della stampa 3D muscolare, rendendola fruibile in fase operatoria. Si tratta di una penna di biostampa 3D portatile in grado di stampare bioink direttamente sulle ferite dei pazienti e aderire alla forma unica di ciascuna ferita.
Lo studio, pubblicato il mese scorso sulla rivista American Chemical Society, si concentra su un tipo specifico di perdita muscolare a seguito di una lesione traumatica chiamata perdita muscolare volumetrica (VML). Il muscolo scheletrico è tipicamente resistente e in grado di ripararsi facilmente, ma un danno sostanziale ai tessuti VML può rendere questo impossibile e, a sua volta, può causare una perdita di funzionalità nell’area interessata se non trattata rapidamente. Per testare come uno strumento di stampa 3D più agile possa portare benefici ai pazienti affetti da VML, i ricercatori hanno progettato una penna per bioprinting 3D semiautomatica e portatile da testare sui topi. Questa penna per la stampa muscolare stampa un materiale chiamato gelatina metacriloil (GelMA), un biomateriale simile al collagene progettato per imitare il tessuto scheletrico e agire come un bioadesivo. Nei topi, che erano stati trattati in modo tale da sviluppare VML, i ricercatori hanno testato punte di aghi di dimensioni diverse per estrudere esattamente il materiale simile al collagene sulla superficie della ferita in una forma chiamata impalcatura. Quindi, utilizzando una luce UV attaccata alla penna, i ricercatori sono stati in grado di fondere insieme le diverse strisce di materiali, un po ‘come la saldatura. Il team ha scoperto che i topi trattati con questa penna bioink 3D hanno dimostrato un aumento significativo delle dimensioni muscolari entro la fine della sperimentazione.
Gli autori scrivono anche che dopo 28 giorni dall’impianto non hanno osservato alcuna infiammazione o danno al tessuto circostante dove aveva aderito l’impalcatura bioink e hanno scoperto attraverso i test che l’impalcatura ha dimostrato una resistenza allo strappo e al taglio simile ai muscoli naturali.
Tubuli renali biostampati in 3D
Il tubulo renale rappresenta la parte più estesa del nefrone, l’unità funzionale del rene. Esso ha la funzione di modificare, tramite processi di riassorbimento e secrezione, la composizione dell’ultrafiltrato prodotto dal glomerulo, fino ad ottenere l’urina. In sintesi, è la parte del rene che filtra il sangue e decide quali liquidi deve assorbire il corpo. Un team di ricerca del Wyss Institute, dell’Università di Harvard, ha realizzato nel 2019 un tessuto che emula le funzionalità dei tubuli renali.
Il tubulo prodotto in questo modo è utilizzato per comprendere meglio il suo funzionamento, ma anche per test farmacologici. Ad esempio, il team ha indotto “iperglicemia”, una condizione di alto glucosio tipica del diabete e un noto fattore di rischio per malattie vascolari, nel loro modello facendo circolare una concentrazione di glucosio quattro volte superiore al normale attraverso il compartimento tubulare prossimale. In questo modo hanno quantificato il danno che il glucosio arreca a questo tessuto.
Oltre al tubulo, altri gruppi di ricerca hanno realizzato modelli in vitro di reni, come in questa ricerca del 2020 e questa del 2021. L’obiettivo a medio termine della comunità scientifica è riuscire a sviluppare una sorta di rene esterno al corpo, per aiutare le persone affette da insufficienza renale.
Cornea stampata in 3D
Nel 2018 un team di ricerca dell’Università di Newcastle ha sviluppato la prima cornea prodotta con biostampante 3D. Risultato eccellente, realizzato con una “semplice” biostampante 3D a basso costo (inferiore a 20k euro). Come bio-ink gli scienziati hanno ‘coltivato’ cellule staminali umane – le stromali corneali – prelevate da un donatore sano e le hanno unite a due sostanze aggreganti, il collagene e l’alginato. Forma e dimensioni della cornea stampata sono state ricavate dalla scansione effettuata su un ipotetico paziente. La macchina ha impiegato appena dieci minuti per plasmare il prototipo. La ricerca di Abigail Isaacson, Stephen Swioklo e Che Connon è disponibile su questo paper.
Il prototipo dei ricercatori di Newcastle non è entrato in sala operatoria in quanto non aveva ancora parametri di trasparenza pari a quelli di una cornea umana. Ma dal 2018 altri centri di ricerca stanno sviluppando prototipi, e si prospetta che entro il 2025 si arriverà al primo intervento con successo effettuato con cornea stampata in 3D. Una applicazione che metterà fine alla carenza di queste membrane per i trapianti, considerando che al mondo ci sono ben 10 milioni di persone che hanno bisogno di un intervento chirurgico per prevenire la cecità corneale, a causa di malattie come il tracoma, mentre altre cinque milioni sono cieche proprio a causa di traumi, infezioni e ustioni alle membrane oculari.