Stampa 3D e comunità open-source: i respiratori durante la crisi Covid-19
Quando si pensa alla stampa 3D applicata biomedicale, vengono in mente protesi e biostampanti che generano organi. Ma è riduttivo parlare di stampa 3D senza parlare di quella componente che ha fatto diventare una tecnologia di nicchia (creata negli anni ’80 del XX secolo) in un fenomeno di massa negli inizi del XXI: la comunità dei makers.
Chi sono i makers?
I maker sono appassionati di tecnologia, educatori, inventori, ingegneri, autori, studenti, artigiani digitali. La comunità è diventata numericamente consistente con l’arrivo di strumenti della fabbricazione digitale low cost e con licenze aperte: stampanti 3D, ma anche tagli laser, plotter ed elettronica programmabile. Non è una comunità centralizzata e istituzionalizzata. I makers, in maniera frammentata e indipendente, si condividono informazioni e conoscenze attraverso il web e attraverso veri e propri luoghi fisici: fablab o makerspace.
Una comunità che ha un forte impatto anche nell’ambito del biomedicale, come dimostrato negli eventi generati dalla più grande crisi.
I makers durante il covid-19: respiratori e componenti open-source
Durante la prima ondata della pandemia di covid-19 uno dei problemi più tragici è stata la scarsità di dispositivi medici e/o carenza di pezzi di ricambio, con le industrie impossibilitate alla produzione di massa a causa della filiera interrotta. La comunità dei makers ha reagito in maniera attiva e creativa, con il modus operandi che ha contraddistinto l’azione dei makers negli anni precedenti:
- Creazione di spazi di condivisione per l’ideazione e diffusione di progetti di fabbricazione digitale che rispondessero alle diverse esigenze degli ospedali.
- Progettazione tecnica delle soluzioni e condivisione dei files sviluppati, in particolare modelli 3D.
- Produzione locale e diffusa tramite le stampanti 3D di makers e fablab.
Gli spazi di condivisione sono nati ovviamente nei principali social networks: ’“Helpful Engineering Group” condivide idee tramite la piattaforma Slack; i gruppi “Open Source Covid-19 Medical Supplies” (con quasi 100mila makers iscritti) e “The FabLab Research International Group” si incontrano invece su Facebook. Alcune iniziative di condivisione sono state poi lanciate da prestigiosi laboratori e istituzioni di ricerca, come il “Mit Emergency Ventilator” o la “Just One Giant Lab OpenCovid19 Initiative”.
Non sono stati gruppi di discussioni, ma comunità operative che hanno prodotto risultati. Una start up irlandese ha creato il profilo twitter Open Source Ventilator (OSV) per lo sviluppo di ventilatori open-source che sono stati poi prodotti in alcuni paesi come India e Brasile.
In Italia è stata notevole l’iniziativa delle valvole che hanno permesso di adattare delle maschere subacquee in maschere per l’ossigenoterapia. L’ex primario dell’ospedale di Gardone Valtrompia, il dottor Renato Favero, ha contattato la start-up bresciana Isinnova, che era balzata alle cronache per lo sviluppo delle valvole Venturi (guarda lezione precedente). Per supplire alla carenza di maschere C-Pap, usate per erogare ossigeno, ha convertito in respiratori quelle da snorkeling “Easybreath” della multinazionale Decathlon, concepite per mantenere la gestione dei flussi di aria pulita ed esausta separati. Il raccordo si aggancia al posto del tradizionale boccaglio, consentendo da un lato l’ingresso dell’ossigeno e dall’altro l’emissione di CO2 attraverso un filtro, creando una pressione interna alla maschera che impedisce agli alveoli polmonari di collassare.
Il team di Isinnova, oltre a progettare e realizzare i modelli 3D e i primi 100 pezzi, ha deciso di rendere pubblici i files, così da permettere alla comunità makers di realizzare in maniera diffusa le valvole, servendo ospedali e Protezione Civile di tutto il territorio nazionale. Decathlon ha donato 10 mila maschere, e la Dallara ha collaborato per la successiva produzione industriale di questa soluzione in Emilia Romagna. Un caso in cui progettisti, grande industria e makers hanno collaborato per attuare una soluzione rapida ed economica.
Altri gruppi di rilievo in Italia sono stati la Open Source COVID19 Medical Supplies, con 60 mila iscritti, e la pagina web dell’associazione Make in Italy, che ha creato un sito per raccogliere le offerte d’aiuto, e coordinato alcune richieste sul territorio da parte degli Ospedali. I gruppi creati in questo modo hanno portato anche alla creazione di ulteriori progetti, come le visiere protettive o i proteggi-orecchie per mascherina.
Diversi makers e fablab hanno lavorato a soluzioni ad hoc per la fabbricazione di pezzi di ricambio per alcuni macchinari ospedalieri. Nonostante i casi di successo, diverse preoccupazioni sono state espresse in merito ai rischi legali relativi, in particolare, alla proprietà intellettuale del prodotto stampato e alla responsabilità da prodotto.