Le cisterne romane
La cisterna (dal latino cista, scatola, ma anche dal greco kistê, contenitore) è un contenitore per i liquidi, ideato prima di tutto per raccogliere l’acqua, ma il cui uso si è successivamente esteso anche ad altri fluidi.
Le fonti testuali da cui si possono trarre informazioni sulle capacità tecniche romane nel campo dell’idraulica sono essenzialmente due: il De architectura di Vitruvio (I sec. a.C.), nel quale vengono illustrati i criteri costruttivi degli acquedotti e i sistemi di immagazzinamento delle acque e il De aquaeductis urbis Romae di Sesto Giulio Frontino (fine I sec. d.C.), nel quale vengono descritti in maniera dettagliata gli acquedotti che rifornivano Roma.
Le cisterne e i serbatoi che avevano la funzione di conservare l’acqua e di permetterne un uso procrastinato nel tempo. I Romani avevano elaborato in questo settore un’avanzata tecnica costruttiva che prevedeva l’impermeabilizzazione interna tramite una speciale malta denominata cocciopesto, composta da una miscela di calce, sabbia o pozzolana, frammenti di terracotta e, forse, di un collante vegetale (latte di fico?). Le cisterne generalmente hanno uno o più ingressi per lacqua e uno scarico di fondo non sempre presente e servivano per accumulare l’acqua piovana.
La necessità di un congruo approvvigionamento idrico rese indispensabile costruire un ingegnoso sistema di captazione, incameramento e ridistribuzione razionale delle acque. Le Cisterne svolgevano, quindi, l’importante funzione di serbatoio d’acqua potabile, non solo per l’approvvigionamento nelle ville ma anche per quello degli equipaggiamenti navali in transito.
Approfondimento: Treccani.it