Nella definizione accademica, il Service Learning, o Apprendimento di Servizio, è un approccio pedagogico che permette di realizzare percorsi di apprendimento in contesti di vita reale, finalizzati allo sviluppo di competenze disciplinari, trasversali, professionali e volti alla partecipazione attiva degli studenti (Fiorin, 2016). Nell’Apprendimento di Servizio il territorio è parte dell’ambiente di apprendimento, l’esperienza didattica è strutturata all’interno della comunità e lo sviluppo di competenze è associato all’impegno civico. I percorsi di Service Learning possono essere realizzati in qualsiasi ordine di scuola. La metodologia del Service Learning risponde a quello scenario che vede la formazione come mezzo per offrire agli studenti le esperienze necessarie a garantire alla persona il suo pieno sviluppo in funzione dell’esercizio di un’autentica cittadinanza attiva.
L’Apprendimento di Servizio è una metodologia diffusa in vari sistemi scolastici nel mondo. Nel 2008 la RMC (Research Corporation) ha sviluppato gli Standards and Indicators for Effettive Service Learning, disponibili su questa pagina. Questi Standard sono molto utili per permetterci di autovalutare il nostro percorso e capire se ha le qualità necessarie per essere definita come attività di Service Learning. Condividiamo la nostra auto-valutazione come esempio utile anche per altre attività didattiche!
L'attività affronta questioni reali?
Sì. Il percorso di Hi-Storia coinvolge gli studenti nel miglioramento reale e tangibile del territorio e della comunità. In particolare sono affrontati due aspetti: la valorizzazione del patrimonio culturale locale, e l’accessibilità della divulgazione del patrimonio, creando uno strumento accessibile a non vedenti e ipovedenti.
Il percorso prevede precisi obiettivi d'apprendimento?
Sì. Con il percorso di base è previsto lo sviluppo o il potenziamento di competenze negli ambiti di:
- Scrittura creativa
- Registrazione audio e narrazione orale
- Disegno digitale 3D
- Fabbricazione digitale
- Programmazione
Con ulteriori curvature e personalizzazioni del percorso, sono sviluppate anche competenze nell’ambito della produzione musicale, padronanza delle lingue straniere (scritta ed orale), tiflologia, industrial design.
Il percorso prevede attività riflessive?
Sì. Sono presenti attività riflessive di varia natura. Quella che riteniamo la questione significativa, ovvero sull’efficacia di una soluzione digitale rispetto ad altri metodi, e sull’impatto dell’umanesimo digitale e dell’innovazione sociale nel mondo attuale e in prospettive future. La riflessione è multilivello: ad alto livello di astrazione, ma anche nelle soluzioni adottate, che non portano ad una riflessione solo sugli aspetti tecnologici (ad esempio l’efficacia delle interazioni utenti permesse dal design) ma anche su aspetti comunicative (valutazione e autovalutazione dei contenuti testuali e audio, significatività degli elementi storico-artistici che gli studenti hanno scelto di trattare). Il momento di riflessione può essere anche di contesto e comunità quando vengono coinvolti i vari partner, in particolare associazioni e singoli utenti con disabilità visive.
Il percorso incoraggia il rispetto per gli altri e la comprensione per le diversità?
Sì. Con l’incontro con utenti non vedenti gli studenti vengono messi di fronte a esperienze reali ed esigenze concrete di persone affette da questa disabilità. Gli studenti, anche per realizzare un design efficace, devono mettersi nei panni dell’utente non vedente e provare a capirne le difficoltà reali. I partecipanti non vedenti sono da considerare come co-progettisti, nel momento in cui attraverso feedback e partecipazione possono indirizzare ad alcune soluzioni, mostrando come un utente disabile sviluppa una competenza specifica, esperienziale, superiore rispetto ad un normodotato. Questi fattori sono la base per un lavoro sull’incoraggiamento del rispetto verso la diversità.
Il percorso coinvolge gli studenti nel processo di progettazione, attuazione e valutazione delle attività?
Sì. Gli studenti progettano l’audioguida, in particolare dal punto di vista della struttura dei contenuti. Sono gli studenti a decidere quali elementi sono rilevanti e da raccontare. Target e relativo linguaggio sono scelti dagli studenti, anche con soluzioni creative rispetto a quanto previsto da noi formatori: in un caso (Liceo Ramadù a Cisterna di Latina) gli studenti hanno sviluppato contenuti in dialetto. In altri due (Liceo Marconi di Pesaro e IC Orsogna) gli studenti hanno preferito strutturare il percorso come “caccia al tesoro” e indovinelli, anziché proporre una narrazione lineare degli elementi architettonici.
Gli studenti partecipano anche alla progettazione dell’uso utente, prevedendo possibili interazioni non previste. Gli studenti del Liceo Ovidio di Sulmona hanno pensato di inserire anche elementi olfattivi, mentre in altri casi il dispositivo presenta delle variabili (perlopiù tecniche) per ottenere interazioni particolari.
In alcuni casi abbiamo previsto anche una co-progettazione del percorso, individuando – prima dell’inizio delle attività – alcuni settori in cui gli studenti avrebbero potuto svolgere approfondimenti.
Il percorso prevede partnership collaborative con componenti della comunità?
Sì. In particolare con tutti quei soggetti che si occupano di promozione e valorizzazione del patrimonio culturale, sia istituzionali (musei, biblioteche) che nel mondo dell’associativismo. Questi partner partecipano spesso in maniera attiva, ad esempio nella fase di selezione del bene culturale da valorizzare, fino anche al finanziamento delle attività, alla disseminazione dei risultati, alla facilitazione dell’installazione finale, e in molti altri modi. Anche le associazioni che si occupano di supporto alla disabilità visiva sono coinvolte nel percorso.
Il percorso coinvolge tutti i partecipanti in una revisione continua del processo?
Sì. La revisione continua parte da due questionari intermedi a cui vengono sottoposti non solo gli studenti ma tutti i partner. I risultati sono poi discussi in un momento di riflessione in classe e in contatto (riunione o digitale) tra i partner. La revisione continua inoltre, a un livello di astrazione più alto, è presente anche nel rapporto tra l’istituzione scolastica, gli esperti e i partner, in particolare nei momenti di revisione delle attività prima della formulazione delle proposte progettuali per rispondere ad avvisi ministeriali.
Il percorso prevede una durata, intensità e qualità tali da garantire reali cambiamenti nella comunità?
Sì. Il percorso si svolge all’interno di almeno 30 ore (con la possibilità di svolgere anche attività di 60 ore), permettendo lo sviluppo di un prodotto qualitativamente sufficiente per essere fruibile dal pubblico. Poiché i progetti di Hi-Storia sono pensati come modello alternativo di sviluppo di prodotti per il bene pubblico, non si parte dal classico paravento del “ma è stato fatto da studenti”. L’idea è di sviluppare processi e prodotti di grado professionale. Ciò che cambia è nella progettazione del percorso, in cui si ha cura di selezionare strumenti e competenze adeguate agli studenti.
No. Le valutazioni fatte poco sopra sono inerenti a un percorso “standard” di Hi-Storia. Ma un progetto va calato in una realtà, e non sempre le condizioni vengono tutte rispettate. Diverse volte il nostro percorso è stato piuttosto un progetto di Apprendimento esperienziale con un alto impatto sociale. Questo è capitato quando è stato impossibile coinvolgere associazioni (in particolare quelle legate alle disabilità visive) oppure in percorsi sviluppati in modalità intensive (es 1 settimana) che rendono le attività meno impattanti nella comunità.
Sono due i soggetti che hanno dato le basi all’Apprendimento di Servizio.
Negli Stati Uniti, e in generale nel mondo anglosassone, John Dewey è da considerare il padre del Service Learning. In Democrazia ed educazione il pedagogista e filosofo auspica un educazione meno scolastica e meno formale, con una partecipazione diretta alla vita della comunità. Per Dewey il compito ultimo dell’educazione non è limitato a favorire l’apprendimento dei saperi, ma deve sviluppare nei giovani la capacità di partecipare alla vita comune. Va detto che Dewey si muove all’interno di una cultura scolastica che già da un secolo aveva gettato delle basi sul Service Learning. Già dall’Ottocento negli USA sono presenti pratiche educative di servizio alla comunità. Citando un saggio di Antonio Vigilante, il Service Learning può essere considerato come espressione di quella visibile americana il cui comunità e individualismo convivono.
Invece Paulo Freire è il pedagogista di riferimento per l’America Latina. Freire, impegnato nell’educazione delle classi più povere, vede nell’Apprendimento di Servizio un’educazione efficace nel riscatto ed emancipazione di tutti, in quanto “problematizzante, una nuova forma mentis in cui attraverso il dialogo vengano in essere i principi di responsabilità e condivisione utili alla costruzione di una società democratica reale attraverso l’impegno concreto di ognuno”. Freire parla implicitamente dell’Apprendimento di Servizio quando propone un metodo “attivo, dialogico e partecipato”, che superi la distanza tra l’apprendimento che avviene all’interno delle aule scolastiche e la realtà, soprattutto nella sua dimensione sociale e politica.