I frantoi in epoca romana
I frantoi nell’Italia romana
Consulta il link http://paleopatologia.it/Frantoi/ciclo.php?fbclid=IwAR0vMxIMbSIYtSlNLaiPgtsU2Q4K1UA9F3ZuajnmIR772DnLUdCUsJHQtEg che tratta l’argomento in maniera semplice ed esaustiva.
Approfondimento 1: il corpo centrale della mola
Legenda:
- Base in muratura
- Sottomola. Può avere lo scopo di impedire ad olive e sansa di traboccare all’esterno
- Sostegno verticale in legno, o columella
- Disco della mola, pietra a forma cilindrica (che l’usura deforma fino a far assumere la forma di un tronco di cono) inserito nella stanga, che ruota sia attorno ad essa che attorno alla columella.
- Stanga, trave di legno collegata ai finimenti che imbrigliano l’asino o il mulo sottoposto a mola.
- Traccia per il passaggio dell’animale: sul pavimento è spesso visibile una usura di forma circolare dovuta al passaggio dell’asino che ripeteva sempre lo stesso percorso attorno alla mola.

Questa stele funeraria è conservata nel Museo Archeologico di Aquileia

Schema di funzionamento di un torchio a leva e a vite:
- Posizione iniziale. Sotto il pralum (l’albero del torchio) viene collocato il cesto con il materiale da spremere. I fori dei sostegni principali (arbores) e secondari vengono riempiti da traversine, che puoi vedere collocate in C, D, E.
- La vite B viene avvitata. Il cesto viene pressato e il vuoto in F nel foro aumenta, fino a che non c’è abbastanza spazio per prendere una traversina da D e spostarla in F.
- La vite B viene svitata. Svitando, il prelum fa leva su F ed aumenta lo spazio in E, che viene riempito da una traversina presa da C.
- Ricomincia l’avvitatura, ma il cesto è sempre più pressato perché ci sono più traversine che fanno schiacciare il prelum verso il cesto. Ancora una volta, si crea abbastanza spazio per inserire una traversina in F, prendendola da D.
- La vite B viene di nuovo svitata. Anche questa volta, facendo leva su F possiamo aggiungere una traversina in E.
- Ripetiamo fino a che le traversine sono tutte spostate sopra il prelum e il cesto è completamente schiacciato.
La conservazione dell’olio
Uno degli strumenti più utilizzati nell’antichità per la conservazione degli alimenti è l’anfora. L’anfora è un vaso di terracotta a due manici, definiti anse, di forma affusolata o globulare utilizzato nell’antichità per il trasporto di derrate alimentari. Il nome deriva dal greco ἀμϕορεύς (da ἀμϕί + ϕέρομαι, “esser portato da entrambe le parti”), attraverso il latino amphora.
Le derrate alimentari contenute nelle anfore potevano essere di tipi diversi, sia allo stato naturale, sia già lavorate.
Al naturale, o in qualche caso in salamoia per prolungarne la durata, tramite le anfore venivano commercializzati prodotti come olive, molluschi, pesce, ma anche frutta e miele; i prodotti lavorati erano invece solitamente il vino, l’olio, le conserve di frutta e il garum. Le anfore a corpo tondeggiante erano adibite prevalentemente al trasporto dell’olio che, per garantire una buona resa economica, doveva essere commercializzato in grandi quantità; le anfore più affusolate e strette, quasi sempre impermeabilizzate internamente con resine aromatizzanti, erano invece destinate al trasporto del vino, i cui tempi di consumazione, a parità di qualità, erano più brevi rispetto a quelli dell’olio. Anfore ancora più piccole, infine, erano utilizzate per il trasporto del ricercato e costosissimo garum.

Anfora di tipo Dressel 1B Legenda : 1: orlo – 2: collo – 3: manico – 4: spalla – 5: corpo – 6: piede
All’interno di una villa rustica, le anfore venivano conservate nelle celle vinarie, luogo sotterraneo adatto alla conservazione di liquidi e derrate per l’alimentazione.
A dispetto del nome, nelle celle vinaria non si conservava solo del vino ma anche granaglie, olio e altri prodotti a lunga conservazione.
Probabilmente le anfore venivano immagazzinate in due file sovrapposte, secondo uno schema a “quinconcia”.
Questa particolare disposizione è attestata in un bassorilievo attualmente conservato nei Musei Vaticani.
Approfondimento: Scarica a questo link il pdf redatto dalla Soprintendenza Archeologia della Liguria.
Immagini tratte da Wikipedia.it e dal volume “Settefinestre – una villa schiavistica nell’Etruria romana”, Edizioni Panini. Si ringrazia la Prof.ssa Marianna D’Ovidio per la ricerca bibliografica.